MACANA MALDIVES

L’intrapresa femminile come snodo di relazioni

PROFILO DELL’AZIENDA

Macana Maldives. Diving Tour operator

IN DIALOGO CON

FOCUS DELL’INTERVISTA INNOVAZIONE DI POLICY

Sostegno all’imprenditoria femminile di prima generazione
promozione di un modello di impresa dal valore condiviso

IN DIALOGO CON L’IMPRESA – MACANA MALDIVES

Da dove nasce l’impresa

Donatella Moica

Questa impresa nasce da un’esperienza di vita, da una passione personale, da una attitudine al viaggio e alla scoperta della natura. Negli anni dell’università sono partita per scoprire le Maldive, e soprattutto il mare. Mi spingeva l’interesse nei confronti della custodia del pianeta, un orientamento che coltivo fin dall’adolescenza e che ha radici molto profonde nella mia storia personale.

Sono arrivata per la prima volta alle Maldive nel 1993. Allora non si parlava ancora di sostenibilità e conservazione dell’ambiente, eppure, quando ho conosciuto quel Paese, le sue opportunità, e, soprattutto, la grande, straordinaria natura sottomarina, mi sono resa conto di quanto fosse necessario diffonderne la conoscenza, e attraverso la conoscenza, il rispetto e la salvaguardia

In quel momento le Maldive erano un Paese in profondo fermento e in grande evoluzione. Il turismo cosiddetto di massa non era ancora iniziato, ci rendevamo conto che qualcosa stava cambiando nella filosofia del viaggio ma certo non avremmo immaginato che sarebbe diventata l’industria che oggi conosciamo. 

All’epoca, le Maldive ancora ricevevano gli aiuti della FAO, perché la situazione era ancor difficile. Era difficile avere cure mediche e il 75% dei nuovi nati moriva. Ricordo che ai bambini non veniva dato il nome fino a sette giorni di età perché i genitori non volevano affezionarsi. Ho visto costruire i primi ospedali e le prime strade. Ho assistito all’arrivo dell’acqua nelle case. Quell’esperienza mi ha fatto capire che il turismo poteva essere molto utile allo sviluppo di questa popolazione, ma solo se insieme al benessere fosse cresciuta la consapevolezza e il rispetto. Oggi le Maldives sono uno dei paesi più ricchi del Sud Est Asiatico, nel bene e nel male. Il benessere porta longevità, cure mediche, abitazioni resistenti, tanti vantaggi che rendono la vita migliore. Insieme, però, porta aspetti più problematici, soprattutto per le nuove generazioni. I figli delle persone che ho conosciuto fanno fatica a capire che c’è crescita e crescita.

Conoscere per rispettare

Al mio arrivo, io, donna, mi sono incontrata con un paese profondamente diverso dal mio background di origine per cultura e religione. Oggi dico: una diversità difficile per molti aspetti ma non per forza negativa, che mi ha sfidato ma anche molto arricchita.

Sono arrivata alle Maldive ben prima che si parlasse dell’11 settembre. La questione islamica, per come oggi la consideriamo, non esisteva. Mia figlia è cresciuta in quel contesto. Le donne maldiviane islamiche la coccolavano e la portavano nelle loro case senza porte, perché erano aperte all’ospite e non temevano invasori. Le donne erano libere, sorridenti, vestivano abiti colorati e sceglievano se portare il velo oppure no. Oggi tutte indossano il chador. Le ragazze che avevano potuto studiare lavoravano nelle banche, negli uffici e all’aeroporto. La differenza di genere c’era, come ovunque, ma non era così determinante per la vita e la crescita della persona umana. Il nostro baby-sitter era un maschio e mia figlia ha imparato da lui le parole in maldiviano che non ha dimenticato e lui ha imparato da lei l’italiano che parla ancora oggi nel suo lavoro.

Il tutti quegli anni mi ha guidato il senso profondo del viaggio, come dice Nicolas Bouvier: Pensi di andare a fare un viaggio, e subito è il viaggio che ti fa o ti disfa”. Viaggiare significa mettersi in gioco, confrontarsi, lasciarsi cambiare, conoscere e imparare. Così nasce il rispetto. Non esiste rispetto senza conoscenza. E non esiste conoscenza senza la dimensione di “senso”. Così come in altri settori, è proprio alla dimensione del senso delle cose che facciamo che si dovrebbe tornare per poter cambiare un paradigma di cui abbiamo ormai compreso tutti i limiti. 

Un enorme scambio culturale

E poi io ero una donna in un mondo maschile! I miei equipaggi erano formati da uomini, o, meglio da ragazzi. Alle Maldive avevano varato da poco la scuola dell’obbligo e i ragazzini di 16 anni, che erano senza istruzione e non conoscevano l’inglese, venivano in barca a lavorare. Io insegnavo loro ad apparecchiare, a fare i camerieri, ad andare sott’acqua! Da loro io ho imparato il maldiviano. Loro hanno imparato da me l’inglese e l’italiano.

Ho visto evolvere una società in trent’anni con una rapidità incredibile: fornisci gli strumenti e l’essere umano evolverà, poi dipende dalla direzione in cui andrà. Per me è stato uno scambio culturale enorme! Chi considera la guerra un modo per risolvere i problemi non ha mai sperimentato cosa significa vivere in una cultura diversa e farla propria. Essere diversi ma, nella diversità, essere insieme. Perché non è la diversità che ci divide, anzi. Dalla diversità noi impariamo e miglioriamo, ce lo insegna anche la biologia. La nostra società è convinta del contrario perché non si apre al confronto col diverso ma lo teme, costruisce muri invece di ponti.

Viaggiatori e non “turisti” come testimoni del pianeta

Questa idea di reciproco rispetto e conoscenza è diventata la nostra filosofia di vita e di impresa. Ecco perché abbiamo scelto di avere a bordo delle nostre barche biologi o laureati in scienze naturali: per accompagnare l’interazione tra l’ambiente e il viaggiatore. Quello che i turisti hanno modo di sperimentare durante i viaggi che fanno con noi è qualcosa di straordinario che testimonia l’incredibile biodiversità e capacità adattativa delle specie viventi sul pianeta di cui facciamo parte. Vivendo in prima persona le emozioni possono ritornare a casa con una nuova consapevolezza. Noi cerchiamo di far sì che, al loro rientro, trasferiscano ad altri la loro “conoscenza”, diventando ambasciatori dei diritti della meravigliosa natura che hanno incontrato. In fondo, tutti noi possiamo fare solo questo: essere testimoni stupiti e rispettosi dell’incredibile bellezza di questo pianeta e delle leggi naturali che la regolano.

Una crescita paritaria con i partner maldiviani

Quando, per mia figlia, sono giunti gli anni della scuola materna, abbiamo scelto di ritornare a vivere in Italia. Abbiamo voluto per lei una cultura italiana, non per una questione di discredito, ma perché abbiamo ritenuto importante permetterle di comprendere da dove venissero i suoi genitori. Così, quello che prima era un progetto di vita personale, in Italia è diventata un’impresa, con una struttura organizzata.

L’impresa Macana srl, con il marchio Macana Maldives, nasce nel 2004. La nostra proposta di viaggio era fuori dagli schemi già allora e non era di facile comprensione. Le Maldive non erano ciò che sono oggi nell’immaginario collettivo di tutte le persone. Anzi erano sconosciute alla maggioranza. Quando abbiamo iniziato a promuovere i nostri viaggi, era difficilissimo arrivarci a causa dei pochissimi voli.  Vi assicuro che, prima di diventare ciò che siamo oggi, ho girato mezzo mondo per trovare clienti da grandi agenzie, le quali però faticavano a capire il mio pensiero.

Oggi siamo in sette persone a lavorare in agenzia in Italia, ma la rete su cui si basa l’impresa è molto più vasta. Il nostro rapporto con le Maldive è di crescita paritaria: insieme a noi sono cresciuti anche i nostri partner maldiviani. Abbiamo fatto scelte precise in questo senso: ad esempio, le nostre barche sono di proprietà maldiviana e a bordo gli equipaggi sono locali oppure provenienti da Paesi con storie complesse come il Bangladesh, l’India o lo Sri Lanka. Il seme del nostro progetto d’impresa è stato piantato nel mare delle Maldive, ci è sembrato naturale e corretto che nello sviluppare il progetto il valore e i profitti fossero condivisi con coloro che sono stati parte integrante sin dall’inizio. Volevamo che tutti quanti avessimo un profitto e che il profitto fosse almeno condiviso con le tante persone che lo rendono possibile.

Mutuo scambio, crescita reciproca e dialogo continuo

Su ogni barca ci sono 18 persone di equipaggio che provengono in parte dalle Maldive, in parte dall’Italia, dal Bangladesh, dal Pakistan, dallo Sri Lanka, dall’India. Dietro a queste persone ci sono tante famiglie che vivono grazie al lavoro e alla presenza di questo tipo di turismo.

Tra noi c’è mutuo scambio, crescita reciproca e dialogo continuo nell’obiettivo comune di tenere in piedi tutto in modo armonioso che richiede uno sforzo costante da tutte le parti. Abbiamo attraversato tante difficoltà insieme – l’11 settembre, la guerra, il Covid, lo tsunami – sempre cercando un dialogo collaborativo non sempre facile. Durante il Covid alle Maldive non sono più arrivati i turisti e tutto si è fermato. Noi abbiamo continuato a sostenere le nostre persone, inviando quanto possibile per coprire almeno le necessità indispensabili come gli stipendi. Le famiglie in India mi dicevano: “Noi non mangiamo, se noi non lavoriamo; si può morire di Covid o di fame!” Qui avevamo gli ammortizzatori sociali, potevamo stare a casa, rispettare il distanziamento. Ma non era così per tutti, in tutto il mondo. Ci illudiamo che il mondo sia tutto come lo conosciamo noi. Giudichiamo con troppa facilità e senza sapere cosa accade e come vivono le persone lontane da noi. Eppure, proprio il Covid ha evidenziato qualcosa che noi abbiamo sempre saputo: siamo tutti legati insieme. È evidente anche per la nostra impresa, se un anello si perde, si ferma tutto. Se non ci fosse quel contesto, se non ci fossero quelle persone la nostra attività non ci sarebbe.

L’impegno nella rappresentanza

Da ormai un decennio ho deciso di impegnarmi nell’ambito della mia associazione di categoria per incentivare e promuovere l’imprenditoria femminile.

Questa decisione nasce da un invito: alcuni anni fa mi chiamarono per raccontare cosa significava per me fare impresa e fare economia. Che poi per me è anche fare politica perché, noi facciamo politica attraverso tutto quello che facciamo. Da lì in avanti mi sono coinvolta sempre di più.

C’è anche un’altra ragione. Io sono originaria di un paesino della Sardegna, un mondo molto diverso, che ho lasciato a 17 anni per l’Australia e dove non sono praticamente più tornata.

Al nostro rientro in Italia, abbiamo deciso di fermarci a Pistoia e qui sono stata profondamente accolta. Quando mi hanno chiesto di mettere a disposizione di altre imprenditrici più giovani la mia visione più internazionale e la mia esperienza, io mi sono sentita di dover restituire quest’accoglienza. Inoltre, Pistoia è una città con una grande vocazione verde e per me passare dal blu del mare al verde di Pistoia è stato molto facile! Così quando mi è stata fatta questa proposta ho sentito una sorta di seconda chiamata e mi sono detta: “Sì, devo trasferire ciò che ho avuto la fortuna di imparare nel mio “viaggio” di vita con senso di gratitudine!

Come imprenditori e imprenditrici abbiamo una grande responsabilità

Il coinvolgimento è cresciuto e ne sono contenta. Vorrei che le persone sapessero che esistono altri modi di fare impresa. Come imprenditori e imprenditrici, anche se siamo a capo di piccole realtà, abbiamo una grande responsabilità, perché le nostre scelte ricadono su altri. Quello che dico e faccio in azienda, non ricade solo sulle collaboratrici che lavorano con me, ma sulle loro figlie, sui loro figli, sui loro compagni. Il lavoro è uno strumento di sostentamento ma deve anche essere uno strumento di benessere, un “luogo” di crescita personale oltre che professionale! Noi non possiamo pensare di avere un’indipendenza né intellettuale, né morale, se non abbiamo da mangiare tutti i giorni o un tetto per proteggerci. Forse perché l’ho visto alle Maldive, so come è quando non puoi curare i tuoi bambini! Chi fa impresa deve rendersi conto della responsabilità sociale che ne deriva. E io lo faccio anche molto, molto in piccolo.

Oggi anche l’impresa si deve porre la domanda: “Perché sono qua?”

Proponiamo diversi percorsi formativi. Recentemente abbiamo avviato un progetto finanziato dalla Regione Toscana BeLife dedicato alle le giovani imprenditrici che sono nell’impresa da meno di 5 anni. Abbiamo lavorato moltissimo sulla purpose aziendale, sul fatto che un’azienda deve avere uno scopo, una ragione d’essere. Oggi anche l’impresa si deve porre la domanda: “Perchè sono qua? Cosa sto facendo?” Io sono stata la mentor del percorso. Per me è stata anche un’occasione di crescita e arricchimento.

È difficile continuare a impegnarsi nell’impresa. Per questo è importate dargli senso

Io vorrei che le persone dopo i nostri incontri tornassero a casa con la domanda: Cosa faccio da domani quando apro la bottega?” Perché veramente per tantissimi e tantissime spesso è difficile continuare a impegnarsi nell’impresa, pagare i dipendenti, non licenziare nessuno, trovare nuove strade, per confrontarsi con mercati in continua evoluzione, mercati difficile perché estremamente volubili, dove è difficilissimo fare previsioni! E talvolta la sensazione di non farcela, lo scoraggiamento prende il sopravvento e noi rischiamo di perdere tutte queste piccole imprese di senso che sono indispensabili per l’economia del nostro Paese e che forniscono moltissimi posti di lavoro nella loro totalità. Pensiamo che l’economia, i numeri, li faccia solo la grande industria, ma non è così: sono tutte queste piccole imprese il vero tessuto economico che sostiene l’Italia in modo sostenibile.

La condizione geopolitica riguarda moltissimo la mia impresa, ma tutto intorno ci sono condizioni complesse che riguardano tutti e che toccano non solo le scelte aziendali, ma anche il piano psicologico e motivazionale! Per questo capire perché uno si impegna, è importante. Significa dare senso al proprio impegno.

Questa è la parte che io provo a fare attraverso Confcommercio che ci dà una grande opportunità di avere degli strumenti per riflettere, per farci domande, per affrontare anche con nuove tecnologie e diventare competitivi.

Il lavoro di rete per le giovani imprenditrici

Questa idea del gruppo di imprenditrici donne a disposizione di altre donne è in linea con i valori su cui baso la mia impresa, un’idea che negli anni ha aggregato altre imprenditrici che hanno voluto mettere a disposizione di altre donne la loro esperienza.

Riprendo il tema del “trasmettere”. È un movimento importante, che si propone di consegnare un “valore” e che non è privo di una dimensione che definirei “biologica”. Anche in natura, la varianza è fondamentale. La varianza è un “errore” a suo modo “generativo” perché permette di far esistere una specie diversa. Ecco, alle nuove imprenditrici ho cercato di comunicare il valore della trasmissione di questi geni, di una esperienza particolare, per non perderla e consegnarla ad altre.

Il bello è che è stato uno scambio reciproco: mentre si trasmette, si riceve, perché le giovani ci sanno dire un sacco di cose! Hanno punti di vista, prospettive diverse, e noi impariamo da loro

Con l’età, ad un certo punto della vita si diventa troppo strutturati e si perde la capacità di imparare. Io ho cercato di creare un gruppo in cui circolasse questa idea: riceviamo e diamo in uno scambio continuo.

E poi tra queste signore imprenditrici sono nate belle relazioni. Di rispetto reciproco. Di stima. Oggi posso dire di amicizia. È un’esperienza molto bella, devo dire, anche se non vorrei che restasse solo tale e mi piacerebbe che fosse una cellula da cui possa nascere altro.

Ancora oggi è complicato essere imprenditrici donne 

Purtroppo, ancora oggi le donne nel nostro Paese devono farsi strada per diventare imprenditrici. Non solo la dimensione culturale è complicata, ma non abbiamo neppure una struttura normativa che possa permettere alle donne di dire con serenità: Faccio dei figli, ma continuo a portare avanti la mia impresa”. Non c’è un’idea di condivisione parentale e non c’è neppure una norma che la renda plausibile. Su questi aspetti dobbiamo ancora batterci. A me non piacciono le metafore di guerra, ma a volte sono utili per scuoterci e prendere atto di quanto siamo indietro. Siamo nel 2025 e ancora vengono finanziati corsi di formazione in cui, di base, c’è la promozione della conciliazione vita-lavoro per le donne! C’è da vergognarsi.

Il futuro è l’unicità dell’impresa

Io voglio lavorare molto sul futuro, e voglio lavorare sull’unicità di impresa legata alla propria storia: cercare di far capire alle persone che la propria storia entra di diritto nell’impresa. Noi facciamo scelte sulla base di quello che siamo! Per questo la domanda esistenziale non è slegata dalla domanda sul progetto aziendale. In futuro intendo focalizzarmi moltissimo su questo. È il mio obiettivo personale: le persone devono capire chi sono, da dove provengono, perché fanno quelle scelte lì. E a quel punto l’impresa non potrà più dirsi più slegata dalle persone.

Non sono sola a portare avanti un’idea di impresa dal valore condiviso

Non sono solo io, ma tutto il gruppo cerca di portare avanti un modello di impresa in cui il valore creato viene condiviso. Ci tengo a sottolinearlo: fare la differenza non è una possibilità solo per le grandi imprese. Lo è anche per le piccole. La condivisione del valore e dei valori può partire dalla propria strada, dai propri vicini.

A volte noi ci rifacciamo a grandi pensatori dai pensieri grandi. Ed è cosa buona. Ma anche chi ha una impresa di vicinato o una attività sulla strada può generare un impatto. Ridurre i propri profitti per un benessere condiviso è una scelta grande, perché quel benessere diventa valore di tutti!

Allora l’impresa si arricchisce, perché si arricchiscono le persone, non solo il conto in banca.