CAIMI

L’INNOVAZIONE SENZA FINE

Come nasce l’innovazione? È possibile creare condizioni ad hoc per facilitare l’incontro e lo scambio di conoscenza tra interlocutori diversi? Come accendere la creatività, stimolare la ricerca e sostenere la sperimentazione, mantenendo viva la radice del design artigianale e industriale italiano, capace di coniugare invenzione e cultura progettuale, forma e funzionalità, dimensione estetica ed etica?

Servono nuove relazioni e nuovi contesti, nuovi modelli e flessibilità organizzativa per favorire e accelerare un’innovazione tecnica in grado di risolvere i problemi del nostro tempo.  

Può la piccola impresa farsi capofila di nuove contaminazioni multisettoriali, non solo attente al mercato ma anche alle persone, al territorio e al futuro possibile?

PROFILO DELL’AZIENDA

Caimi Brevetti S.p.A.

IN DIALOGO CON

FOCUS DELL’INTERVISTA INNOVAZIONE DI POLICY

Knowledge- sharing

Open Innovation

DALLA PRESENTAZIONE “CAIMI OPEN LAB”

I laboratori Open Lab sono messi a disposizione di Università̀, Istituti di ricerca, Fondazioni e Enti che hanno come “missione” la diffusione del sapere all’interno dei processi di formazione e conoscenza: ovvero il vero motore fondamentale della crescita e dello sviluppo di un Paese. 

Il tutto guardando al di fuori di una logica esclusivamente produttiva, allacciando relazioni e collaborazioni continuative con il mondo della formazione e delle Istituzioni Universitarie, tre le quali il Politecnico di Milano, l’Università̀ di Genova, ma non solo, con associazioni e istituzioni protagoniste dei cambiamenti, in particolare l’ADI, il Museo della Scienza e della Tecnologia di Milano, mantenendo sempre una presenza costante in tutte le attività̀ di confronto culturale in Italia e nel mondo. 

Proprio da questo atteggiamento culturale, che dal fondatore Renato è presente in tutta l’azienda, attraverso il ruolo, la consapevolezza e le capacità professionali dei quattro figli, Gianni, Renzo, Franco, Giorgio, è stato possibile sviluppare una politica industriale che, senza dimenticare le proprie origini, è sempre stata rivolta verso un futuro prossimo, concreto e realizzabile.

Caimi interpreta con questo progetto un rinnovato spirito olivettiano, attento certamente al mercato, ma avendo sempre presente che è la persona e il territorio intorno alla fabbrica ad essere protagonisti del cambiamento. Adriano Olivetti credeva nell’idea di comunità̀, unica via da seguire per superare la divisione tra produzione e cultura. Nel suo famoso discorso “Le fabbriche del bene” (1951), così scrive: La nuova economia che immaginiamo contribuisce al progresso materiale e accompagna l’individuo mentre perfeziona la propria personalità̀ e le proprie vocazioni. E tuttavia non impedisce di volgere l’animo verso una meta più alta, un contributo alla vita di tutti sul cammino della civiltà. 

Oggi, alla luce di nuove tecnologie e di un concetto concreto e fattibile di sostenibilità, rimettendo al centro in modo forte e determinante la relazione diretta tra ricerca e prodotto, tra fabbrica e comunità, tra mercato e valori, viene rimesso in circolazione un rinnovato spirito olivettiano, nel segno di un concetto che è stato da sempre il motto di suoi primi 70 anni: “Oggi è già domani”. 

Aldo Colonnetti

IN DIALOGO CON L’IMPRESA – CAIMI S.P.A.

Non c’era niente. Solo tanta creatività.

Giorgio Caimi

L’azienda nasce su iniziativa di mio padre Renato e di mio zio, cioè da quella generazione che ha ricostruito l’Italia. La nostra è un’azienda nata “dalla povertà”: in quel periodo non c’erano fondi e neppure materie prime! Non c’era niente. Però c’era tanta creatività. Non si sapeva che si chiamava design, si parlava di “buon disegno”. Tutto era legato alla capacità di progettazione. 

Papà era un progettista, dirigente della Bianchi, poi Autobianchi, e aveva uno stipendio. Ma decide di mettersi in proprio, anche spinto da mia mamma, e prova a lanciarsi su una nuova strada, la sua.

L’azienda si sviluppa. Nascono i primi best sellers di papà che si lega a terzisti della zona, poiché non aveva la forza per acquistare tutte le macchine necessarie, anche se quella di acquistare macchinari e modificarli è stata una passione che lo ha seguito per tutta la vita. 

Nei decenni l’azienda cambia molte pelli. Passa dagli accessori per cucina agli articoli da regalo per fumatori. Negli anni ‘80 iniziamo a lavorare per l’arredo e la componentistica per l’ufficio, direzione che sarà sempre più chiara e convinta negli anni ‘90.

Il passaggio generazionale

Giorgio Caimi

L’azienda nasce su iniziativa di mio padre Renato e di mio zio, cioè da quella generazione che ha ricostruito l’Italia. La nostra è un’azienda nata “dalla povertà”: in quel periodo non c’erano fondi e neppure materie prime! Non c’era niente. Però c’era tanta creatività. Non si sapeva che si chiamava design, si parlava di “buon disegno”. Tutto era legato alla capacità di progettazione. 

Papà era un progettista, dirigente della Bianchi, poi Autobianchi, e aveva uno stipendio. Ma decide di mettersi in proprio, anche spinto da mia mamma, e prova a lanciarsi su una nuova strada, la sua.

L’azienda si sviluppa. Nascono i primi best sellers di papà che si lega a terzisti della zona, poiché non aveva la forza per acquistare tutte le macchine necessarie, anche se quella di acquistare macchinari e modificarli è stata una passione che lo ha seguito per tutta la vita. 

Nei decenni l’azienda cambia molte pelli. Passa dagli accessori per cucina agli articoli da regalo per fumatori. Negli anni ‘80 iniziamo a lavorare per l’arredo e la componentistica per l’ufficio, direzione che sarà sempre più chiara e convinta negli anni ‘90.

Il passaggio generazionale

L’azienda cresce e si sviluppa. Tutti noi quattro fratelli entriamo per gradi in azienda. Il passaggio generazionale? Papà aveva tanti interessi al di fuori dal lavoro e ha risolto parte della questione in modo estremamente brillante. Ci ha messo le chiavi in mano, dicendoci: Buongiorno, fate i vostri errori!

Anche se veniva sempre in azienda, il suo atteggiamento era quello di lasciarci fare tutti gli errori del caso e dirci solo dopo: Avresti dovuto farlo così. Hai sbagliato qui e là! 

Questa cosa mi faceva imbufalire. Pensavo: “Se vedi che sbaglio, dimmelo! Mi devi far perdere tempo, soldi ed energia su una cosa che sai già sbagliata?” Secondo lui una cosa è insegnare, altro è imparare dall’esperienza. “Se sbagli, non lo farai mai più!” Questa era la sua logica. Io l’ho capito in seguito.

L’avventura in campo acustico

Tutto procede fino alla fine degli anni Duemila. Comincia il periodo della Lehmann Brothers e i loro scatoloni. È un momento di grave crisi generale e anche i nostri fatturati diminuiscono anno dopo anno. L’azienda deve fare qualcosa. 

Mio fratello Franco intercetta un nuovo filone: l’acustica. Io avevo notato che l’unico settore che non era entrato in crisi era il wellness. Ma come unire l’acustica, il wellness e l’arredo per ufficio? Abbiamo pensato che potesse rientrare tutto sotto il nome di “benessere generale”.

Qui comincia la nostra avventura nel campo dell’acustica. Ma lo facciamo con il nostro sguardo e con le nostre competenze, quello di attori dal mondo del design, settore nel quale ci eravamo affermati. 

Il design è un valore aggiunto

Molti confondono il design con una specie di arte, o di moda. In realtà il design industriale è una disciplina ben precisa che dedica il 10% del tempo al bello, mentre il 90% è industrializzazione, razionalizzazione, studi complessi attorno al prodotto. 

La nostra azienda ha portato i valori del design nel campo dell’acustica, aggiungendo nuovo valore. Cosa che non era stata fatta prima.

I nostri primi pezzi li abbiamo venduti nel 2012/13. Il successo è stato immediato. Siamo stati un caso studiato da tante università. Tuttavia, arrivati a un certo punto ci siamo accorti di non sapere niente dell’acustica ma che non potevamo utilizzare materiali di altri. Che dovevamo crearci la nostra materia prima e le nostre tecnologie. È da lì che sono nati i nostri brevetti. Non solo avevamo imparato un mestiere nuovo, ma eravamo già diventati degli specialisti. Avevamo imparato e molto!

Un laboratorio interno

Così abbiamo deciso di installare un laboratorio interno. Abbiamo capito che non potevamo dipendere da laboratori esterni per fare ricerca. Questi ultimi sono enti che fanno benissimo controllo, certificazione. Fare ricerca è molto diverso. Si va per tentativi, per prove, per intuizioni che vanno sviluppate sul posto. 

Abbiamo continuato ad utilizzare i laboratori esterni per la parte della verifica, mentre abbiamo creato da noi in azienda un nuovo focus: la ricerca.

La rinascita di un luogo storico aperto al dialogo

I laboratori nascono a cavallo del Covid: progettati prima, realizzati durante e dopo, inaugurati ancora con le mascherine. Sono particolari anche da un punto di vista architettonico: nascono dove c’è stato il primo nucleo della Caimi. Un esempio di archeologia industriale, come si dice in architettura. 

Ci siamo resi conto solo a posteriori che avevamo creato una piccola eccellenza. 

Poiché anche papà era sempre stato molto legato al territorio e al sociale, abbiamo deciso di destinare fino al 50% del tempo dell’Open Lab a progetti che hanno come fine ultimo lo studio o il miglioramento del benessere psicofisico delle persone. Motivo per cui i laboratori vengono dati pro bono e sponsorizzati da noi internamente – perché manca sempre il microfono adatto piuttosto che un’attrezzatura – a enti, università, scuole, accademie, ospedali. 

In famiglia siamo amanti dell’arte. Anche per questo, il laboratorio viene concesso a qualsiasi artista, performer, musicista, perché anche dall’osservazione di quello che fanno gli artisti possono nascere cose molte interessanti. Loro hanno un punto di vista davvero distante dal nostro, dal quale noi possiamo imparare.

Crediamo moltissimo nell’approccio multidisciplinare. Dal dialogo possono solo nascere cose interessanti, perché l’introspezione dell’azienda è troppo forte altrimenti, continuiamo a guardare quello che è il nostro problema e non il problema che ha il mondo e che l’azienda può risolvere.

La parola giusta è “contaminazione”

Giorgio Caimi

Non c’è un riscontro immediato e non è neanche una cosa che puoi valutare in termini di guadagno economico. Certamente questo atteggiamento garantisce una grande apertura mentale. Perché le aziende usano i designer e perché anche noi li utilizziamo? Ci sono modi giusti e modi sbagliati di avvalersi di questo profilo. Quello sbagliato è prendere un designer dal nome altisonante per brillare di luce riflessa, così sembro bravo. Ecco quello no. Altro modo sbagliato è “famolo strano”: lanciamo un progetto che faccia parlare di sé grazie alla presenza di nome importante. Dopo due mesi, si sono dimenticati tutti di quel prodotto. 

Il disegno industriale è una disciplina molto rigorosa. Anche noi abbiamo nomi altisonanti in catalogo, ma semplicemente perché sono molto, molto bravi! E perché lo sono? Anzitutto, perché hanno una curiosità innata. Secondo, perché hanno un punto di vista diverso dal nostro. Altrimenti l’azienda è portata a risolvere i suoi problemi, e non i problemi dell’umanità, come dicevo prima! I designer sono curiosi, girano, osservano il mondo, la società e riescono a percepire quelle che saranno le esigenze del futuro. 

L’Open Lab, pensando al futuro 

In quel periodo hanno incominciato ad entrare in azienda anche i nipoti. Ci siamo trovati a gestire un secondo passaggio generazionale, nonostante personalmente avessi fatto tutto quello che era in mio potere per dissuaderli! Oggi per loro è molto più dura di quanto sia stato per me, considerando che per il sottoscritto è stato senzaltro più dura di chi è entrato nel periodo di boom economico.

Con la decisione dei miei nipoti, ci siamo trovati a fare un passaggio anche in termini di pensiero: dal ragionare in termini di bilancio a pensare in termini di generazioni.

Per questo i laboratori si sono ampliati. Perché abbiamo pensato di costruire e mettere in opera contesti che potessero rappresentare un gap tecnologico di almeno una decina di anni rispetto ad altri competitors nel panorama internazionale. Tutto questo con il simpatico vantaggio che, essendoci una terza generazione, il conto lo pagheranno loro! Come ha fatto papà con noi, lasciandoci i capannoni e dicendo: Tanto li pagherete voi!”. Ecco, abbiamo fatto lo stesso con i nostri nipoti! Papà ci diceva sempre: “Così non avrete grilli per la testa e dovrete lavorare!” 

Oggi c’è posto per la terza generazione

Il passaggio generazionale

Nel passaggio generazionale ci siamo dati alcune regole molto semplici. L’ingresso in azienda è volontario: il nipote deve anzitutto chiedere di poter entrare, prima al papà poi agli zii. Non possono entrare i coniugi e i nipoti non possono lavorare con il padre. Di fatto i nipoti lavorano con uno zio. Questo per il bene di entrambi. Vogliamo evitare lotte particolari e non portare questioni familiari all’interno. Su questo siamo molto rigidi.

La relazione con la filiera 

Giorgio Caimi

Qui in Caimi abbiamo solo il quartier generale che gestisce tutto: dalla contabilità, al marketing, al design, alla logistica. Abbiamo un capannone con 11.000 bancali di materiale finito a magazzino, perché consegniamo praticamente in tempo reale. 

Ma la rete di fornitori è rimasta sostanzialmente la stessa creata da papà. Un 60% dei nostri fornitori attuali sono in terza generazione. I miei nipoti stanno lavorando con i nipoti dei fondatori, amici di papà. Diciamo che il 90% dei fornitori sono entro i 35 km dall’azienda. Il resto è molto vicino. Siamo 100% Made in Italy. Questo lo consideriamo un valore aggiunto non solo in termini di immagine, ma di conoscenze, di maestranze. Un saper fare le cose come le sappiamo fare in Italia! Non ci sono pari al mondo nel fare manifattura in un certo modo. A un italiano non devi spiegare cosa è bello e cosa è brutto. Lo sa da 2000 anni. Ce l’ha nel sangue. Idem se una cosa è fatta bene o male, la capisce. Non lo devi spiegare, lo sa da solo. 

Sfatare il mito dell’artigiano con le mani sporche

Circa la produzione, dovremmo sfatare il mito dell’artigiano con le mani sporche e la pialla in mano! Come noi ci siamo ammodernati, tutta la nostra filiera si è ammodernata. Una delle ragioni per cui abbiamo deciso di esternalizzare la produzione è perché è impossibile oggi per un’azienda del mobile che tratta tanti materiali – dal cemento al legno, al vetro, al cuoio, all’alluminio – potersi tenere aggiornata su tutte le tecnologie. 

Le aziende che lavorano con noi sono artigiani 3.0. Mario Botta diceva molto saggiamente che il lavoro degli artigiani italiani è un mestiere, che è una cosa ben diversa dal lavoro. 

I nostri fornitori continuano ad innovare. Dispongono di macchinari modernissimi abilmente utilizzati. Il loro livello tecnologico continua a crescere di anno in anno. Il tutto tenuto sotto controllo al massimo dei livelli, perché sapete come è la realtà lombarda.

Il modello produttivo

Noi non possiamo lavorare su venduto con la mole di materiale che abbiamo. Tutto viene gestito su base statistica. E qui arriva la grossa complicazione per il nostro ufficio logistica: consideriamo un mix tra quello che si stima possa servire, quello che è richiesto dal mercato, le info che arrivano dalla rete vendita, da agenti e clienti, anch’essi un grande patrimonio! Non solo perché acquistano, ma anche perché danno suggerimenti importanti e su quello ci si basa per stimare quale materiale di che colore e di che misure serve.

Fornitori? Più che altro sono amici

Giorgio Caimi

Chiamiamoli fornitori, chiamiamoli partner: nella maggior parte dei nostri casi sono anche amici perché arriviamo da generazioni insieme! Tanti sono ex compagni di classe! La nostra gestione è molto particolare: abbiamo i nostri magazzini; ma anche i fornitori hanno magazzini di materiali finito per noi, così come di semilavorati e materie prime per gli ordini in corso. Tutto è collegato. 

Loro sanno che noi siamo estremamente fedeli. E quindi possono fidarsi. 

Noi operiamo in un settore dove esistono pochi contratti. In passato ho avuto la malaugurata idea di proporre a un fornitore un contratto per mettere nero su bianco che eravamo partner e tutto e il risultato è stato esattamente l’opposto. Perché lui ha incominciato a dire: Ma Giorgio, non ti fidi più di me? Cosa è successo? Allora ho detto: Scordiamoci tutto e torniamo a fare quello che facevamo prima! Qui contano tanto i rapporti umani, la parola, la continuità! 

La fiducia circola e ritorna

Abbiamo avuto agli inizi dell’anno 2000 un evento atmosferico che ha distrutto i capannoni che si sono allagati e in 7/8 minuti è stato buttato via tutto quello che avevamo. Naturalmente eravamo preoccupatissimi. Grazie a quei rapporti, ci siamo sentiti chiamare dai fornitori più importanti. Era luglio, prima della chiusura estiva. Ci hanno domandato: “Dobbiamo tenere aperto in agosto, avete bisogno? Dobbiamo rifare qualcosa? Come possiamo aiutarvi a sistemare?” Di queste cose te ne ricordi e durante la crisi economica 2008/2011 siamo stati noi a fare spesso da banca. Per uscire tutti insieme dalla crisi. Queste cose – nonostante si litighi per i prezzi, per i tempi, perché la scatola è ammaccata – vanno oltre i tempi e i problemi momentanei!

Tenete conto che alcuni di loro hanno un numero di clienti limitato e non vogliono crescere. Non hanno un sito internet, perché non gli interessa proprio avere altri clienti, nonostante abbiano un livello tecnologico altissimo! Lavorano con nuovi materiali e nuove tecnologie che spesso vengono messe in opera e proposte prima a noi e ad un altro paio di aziende di settori diversi, e a due anni di distanza sono rese accessibili al pubblico. Papà ci ha sempre detto che è meglio perdere un cliente che un fornitore. Un cliente potrai trovarlo in un anno. Un fornitore non saprai mai se lo troverai con la stessa bravura e le stesse capacità. 

I collaboratori: normalmente non se va quasi nessuno

Giorgio Caimi

Oggi siamo attorno alla cinquantina. Normalmente non se va quasi nessuno, o almeno molto pochi. Noi vogliamo tenere una struttura molto snella. L’indotto però è molto più ampio. Mi sento addosso la responsabilità per circa 200 famiglie. Attorno a questo nucleo abbiamo poi una serie di consulenti esterni molto, molto fidati. Spesso anche in esclusiva, ad esempio per le parti ingegneristiche. Nel campo dell’arredamento lavorano solo per noi.  

Questo che devono fare le aziende: risolvere i problemi delle persone

Giorgio Caimi

Per fare questo lavoro non è utile ragionare di cosa serve adesso o di cosa servirà per il prossimo Salone del mobile! Occorre ragionare in termini di che cosa servirà tra quattro o cinque anni! Dove sta andando il mondo! E l’aiuto di occhi esterni, come quello del designer, ti aiuta a poter vedere il mondo con quegli occhi e capire non cosa serve oggi – questo lo sappiamo già – e neppure cosa servirà tra un anno. Ma ad avere il coraggio di un pensiero più lungo! Quando si avvia un nuovo progetto industriale, dove tra un anno sono terminati gli stampi e si comincerà a vendere il prodotto tra due anni, bisogna guardare avanti almeno di 3,4,5 anni per fare bene il nostro lavoro. Ecco, i designer ti aiutano a ragionare in quel modo: percepire le problematiche della società. Perché è questo che devono fare le aziende: risolvere i problemi delle persone. Quindi l’approccio multidisciplinare è proprio mirato a questo tipo di atteggiamento. 

C’è una buona dose di rischio

Giorgio Caimi

Devi sapere che puoi sbagliare. Quando fai ricerca, va da sé che non tutto avviene al primo colpo, anzi non succede mai! Normalmente devi mettere in conto tanti piccoli fallimenti che però segnalano che questa è la base della ricerca… È la teoria del dubbio che ti segnala tutti i vicoli ciechi che ti permette poi di arrivare dove vuoi. 

Il dialogo con il mondo dell’educazione e della formazione

Giorgio Caimi

Per noi in Caimi questo è un punto importante. Teniamo tantissimo a questo dialogo. 

Il Laboratorio ha già portato ad accordi dai licei al Politecnico di Milano. Abbiamo uno interscambio interessante con le università. Noi fratelli insegniamo nel campo del disegno industriale e della comunicazione. Siamo sempre apertissimi a nuovi dialoghi e collaborazioni. Ospitiamo anche dottorati di ricerca.  Investiamo tanto sui giovani. 

La sostenibilità? Questione di buon senso

Giorgio Caimi

Noi crediamo nella sostenibilità. Intanto la sostenibilità sociale, che è quello che ci ha insegnato papà: “Il territorio ti dà tanto, quindi devi rendere al territorio…”

Poi la sostenibilità ambientale. Si stanno scrivendo le nuove norme europee sul riuso. Noi abbiamo avuto l’estremo piacere di vedere che sono gli stessi protocolli che noi in azienda usiamo da 30 anni. Passata l’ubriacatura del greenwashing, è rimasto quello che era semplicemente il buon senso di buona parte delle aziende italiane.