ATM
AGE MANAGEMENT: UN PIANO CHE UNISCE
Nel quadro delle grandi trasformazioni demografiche in atto, l’invecchiamento progressivo della popolazione costituisce una grande sfida economica, sociale e culturale a cui occorre prepararsi. Lo sanno bene le organizzazioni del lavoro che dovranno apprendere come gestire e mantenere attive fino all’età del ritiro pensionistico popolazioni dalle caratteristiche inediti e con nuovi bisogni. Cruciale diventa l’area dell’Age Management.
PROFILO DELL’AZIENDA
ATM – Azienda Trasporti Milanesi
IN DIALOGO CON
FOCUS DELL’INTERVISTA INNOVAZIONE DI POLICY
Welfare aziendale
Age Management
IN DIALOGO CON L’IMPRESA – ATM E FONDAZIONE ATM
Una lunga storia di welfare
Emanuela Salati
L’Azienda Trasporti Milanese (ATM) vanta una storia di welfare importante e di lunga data. Risale al 1924, poco dopo la nascita dell’azienda, quando i tramvieri milanesi decidono di fondare la Cassa di Soccorso e malattia. Sulla facciata dell’edificio che ci ospita è ancora visibile la scritta “Cassa Mutuo Soccorso dei Tramvieri Milanesi”, realtà che poi negli anni Novanta si è trasformata nell’attuale Fondazione. Per un certo periodo di tempo la Fondazione ha gestito perfino un intero ospedale 1 Dal 1932. Parliamo dell’ospedale Resnati, dove adesso c’è il liceo scientifico Donatelli.
il cui erede oggi è il nostro Poliambulatorio, un centro di eccellenza oggi aperto a tutta la cittadinanza sito in via Farini 9. Dunque, tutte le azioni di cui noi oggi beneficiamo e che includono anche le iniziative di Age Management hanno una lunga storia e si sono stratificate negli anni.
Anche l’interesse per l’Age Management non nasce oggi
Emanuela Salati
Anche rispetto all’Age Management, abbiamo incominciato a lavorare sul tema all’indomani della legge Fornero, circa 15 anni fa, quando ci siamo resi conto che avremmo dovuto tenere al lavoro i nostri collaboratori fino a 67 anni. Ci siamo chiesti come avremmo potuto farlo, perché la nostra è soprattutto una popolazione di operativi, un lavoro particolarmente impattante anche sul fisico. Da allora abbiamo incominciato a ideare e costruire il nostro piano di Age Management, in modo sempre più articolato.
Prima azione: creare cultura sul tema
Emanuela Salati
Anzitutto abbiamo creato cultura sul tema. Abbiamo incominciato a organizzare incontri e workshop nei depositi. Presentavamo a tutti i nostri collaboratori la questione demografica e contemporaneamente abbiamo avviato una ricerca in collaborazione con l’Università Cattolica. Si trattava di una indagine di clima dove gli item venivano approfonditi anche in una prospettiva futura. Concretamente, rispetto ad una serie di parametri, abbiamo chiesto alle nostre persone: “Come pensi starai tra 5 o 10 anni?”
L’indagine – abbastanza unica nel suo genere – ci ha permesso di far emergere ampie inquietudini rispetto alla salute. Abbiamo scoperto che le preoccupazioni dei nostri colleghi si concentravano anzitutto sul loro stato di salute in un futuro prossimo. Secondariamente è emerso il tema della conciliazione tra tempi di vita e di lavoro. Infine, si è profilata la questione della motivazione e dell’engagement.
Noi abbiamo approfittato di questa ricerca per girare tutti i depositi, incontrare le persone e sensibilizzarle. Abbiamo parlato loro di indici demografici che allora erano meno conosciuti di oggi. Abbiamo raccontato della piramide invertita; del fatto che non avremmo avuto più giovani, e che la nostra popolazione stava invecchiando molto rapidamente ed era necessario occuparsi dell’invecchiamento attivo fin da giovani dovendo lavorare più a lungo!
Seconda azione: costruire un cruscotto di controllo
Emanuela Salati
La seconda azione in preparazione al piano è stata la costruzione di un cruscotto di controllo. È stata una azione impegnativa e faticosa: abbiamo ideato un cruscotto con tutti gli indicatori che riguardavano il tema dell’Age Management: l’invecchiamento della popolazione prevista, a livello aziendale come di ogni singolo settore; l’incrocio di questo dato con la malattia, l’assenteismo; l’inabilità al lavoro…
Questa analisi ci ha consentito di rilevare come ci fossero settori con un tasso molto più problematico di altri, un livello di assenteismo più alto, etc. Attraverso dei focus group abbiamo cercato di capire le ragioni di questi numeri; quali problematiche erano legate ad essi; come potevamo agire per quella popolazione specifica in modo mirato.
Il contributo delle previsioni
Emanuela Salati
È stato un grande lavoro di indubbia utilità. Intanto, perché in alcuni casi abbiamo risolto problemi che sembrava impossibile affrontare. Ma abbiamo anche realizzato che, in determinati settori, la popolazione non solo era più senior, ma che a breve ci sarebbe stato un vero e proprio tsunami, quando i baby boomers avrebbero incominciato ad uscire. Lì abbiamo visto chiaramente che saremmo stati investiti da questo fenomeno: sarebbero uscite centinaia di persone e noi avremmo avuto grandi difficoltà a sostituirle!
Cosa che puntualmente è avvenuta e sta ancora avvenendo. Certo, averlo previsto non ci ha consentito di arginare la problematica in toto – oggi ci mancano ancora 300 autisti – anche a causa della combinazione di tanti fattori diversi: gli affitti a Milano, il fatto che oggi nessuno vuol più fare il conducente; ci sono stati pensionamenti massivi che non siamo riusciti a compensare per altri fenomeni di natura sociale. Ma in alcuni settori siamo riusciti a prevenire e ad intervenire, come nell’area delle ingegnerie o degli staff.
Terza azione: realizzare una matrice dei rischi
Emanuela Salati
Quale terzo e ultimo step preparatorio abbiamo costruito un altro strumento particolarmente utile: una matrice dei rischi. Questa ha messo in evidenza gli impatti previsti sull’azienda, qualora non ci fossimo occupati di attivare un piano di age management. Anche in questo caso è stata fatta una selezione di item cruciali e quindi un incrocio degli stessi, ottenendo una mappa che evidenziava con grande chiarezza come l’aging andasse ad influenzare pesantemente l’organizzazione anche dal punto di vista economico, poiché impatta sulla malattia, sull’obsolescenza delle competenze, sui costi del personale e della sicurezza, dato l’aumento del rischio potenziale degli incidenti, e, non ultimo, sui costi delle spese di prevenzione. La matrice dei rischi ci è servita per presentare al nostro management il nostro piano di azione e a sostenerlo con decisione. Si è trattato di un’azione che ci ha consentito di prevedere come questo tema avesse profonde ricadute a diversi livelli sull’azienda.
Queste tre operazioni sono state preliminari al piano di azione dell’age management.
Pronti a costruire il piano di azione
Emanuela Salati
Per decidere cosa intraprendere, abbiamo creato una task force dedicata, operazione in capo alle Risorse Umane. Insieme alla linea, abbiamo costruito il piano di azione dove ognuno, in veste di ambassador, si è preso carico di portare avanti una azione. Questo ha anche permesso di continuare a promuovere la cultura, oltre che a garantire che le iniziative venissero portate a termine. Il piano di azione è stato costruito su tre pillar: Gestione, Salute e Benessere, Motivazione. Per ognuna di queste aree abbiamo pensato una serie di azioni.
Primo pillar: Gestione
Il primo pillar è l’area della Gestione. È stata la più difficoltosa, dove abbiamo avuto i risultati minori. Avevamo già raggiunto accordi di secondo livello con il sindacato, per cui i senior in ambito operativo – perlopiù il personale viaggiante – poteva, e ancora oggi può, scegliere di non fare i turni di notte e i week-end per favorire la conciliazione. L’adesione è volontaria ma non è di massa, anche perché questa soluzione significa perdere le risorse aggiuntive legate ai turni notturni. Tuttavia, è un’opzione aperta e chi vuole può richiederla.
Adesso stiamo studiando come Fondazione soluzioni per il long time care e prendendo in considerazione anche possibili azioni di previdenza complementare per le nostre persone, così come di strutture che possano prendersi cura dei nostri pensionati e di partnership per l’assistenza domiciliare (ne abbiamo attivata una quest’anno con la Fondazione Maddalena Grassi).
Rispetto a questo punto ci sarebbe ancora molto da fare, come ripensare i ruoli di lavoro e la turnistica prevedendo ad esempio una job rotation pianificata.
Ma non è facile smuovere un sistema grande come il nostro con innumerevoli stakeholders e con tanti tavoli di lavoro. Il nostro è un work in progress.
Secondo pillar: Salute e Benessere
L’area di azione Salute e Benessere vede le azioni di maggior successo. Il primo obiettivo di cui ci siamo preoccupati è che le persone potessero arrivare sane a 67 anni, considerando che la nostra età media è piuttosto alta, 46,5 anni, come la media nazionale. Grazie alle proiezioni offerte dal cruscotto, ci siamo resi conto che nel giro di 5 anni avremmo più che raddoppiato gli over 55. Per questo l’area Salute e Benessere è quella in cui abbiamo investito di più: per creare consapevolezza nelle persone. La salute è una responsabilità individuale, ma compito dell’azienda è creare un’ambiente in cui tu puoi prenderti cura della salute.
Creare cultura attorno alla salute
L’impegno di acculturazione consiste anzitutto nell’offrire con continuità occasioni di informazione e formazione. Da anni facciamo incontri serali o pomeridiani in cui trattiamo tutti i temi della salute. Abbiamo parlato di salute cognitiva; invitato i più grandi nutrizionisti di Milano; discusso di salute e movimento, affrontato il tema della salute cardiologica, in una logica di prevenzione e di cura. Ripeto: lo abbiamo fatto con continuità.
Questo per noi oggi è molto chiaro: la cultura si crea solo con la stratificazione della comunicazione nel tempo.
Le azioni: screening gratuiti, check up metabolico, nutrizionista, attenzione ai capitolati delle mense
Oltre a queste azioni di “moral suasion”, ci sono le azioni pratiche. Anche qui l’elenco è sorprendente. Anzitutto l’offerta di screening gratuiti da parte del Poliambulatorio di Fondazione ATM: ogni anno abbiamo due o tre screening pagati dall’azienda a cui partecipano moltissime persone. Ad esempio nel check up metabolico, che abbiamo introdotto quest’anno, si va ad analizzare i parametri vitali e si condividono percorsi di prevenzione alle persone. È uno strumento importantissimo di prevenzione, dove, incrociando diversi parametri vitali e un questionario anamnestico, i cui risultati sono analizzati dal medico, si capisce se c’è uno stato di infiammazione metabolica che predispone a malattie cardiovascolari, diabete, tumorali.
Senza scordare la parte della nutrizione. Qui non solo abbiamo integrato tra gli specialisti del Poliambulatorio la figura dell’endocrinologo e nutrizionista, ma siamo anche intervenuti negli anni sui menù delle mense.
Altra azione che ha avuto un successo incredibile è stato, anni fa, il corso offerto ai cuochi delle nostre mense sulla cucina salutare. Sembra paradossale: i cuochi sanno cucinare benissimo ma conoscono poco o nulla a livello nutrizionale. All’inizio erano un po’ diffidenti, ma il messaggio su come si possono combinati gli alimenti per garantire prestazioni efficienti e salute è passato.
Non c’è salute senza movimento
Emanuela Salati
L’azienda aderisce, sponsorizza e spinge tutte le iniziative che promuovono il movimento, sempre nel quadro della promozione della salute. Abbiamo stipulato convenzioni con diverse palestre e coinvolto la Polisportiva di Fondazione ATM. Alla Polisportiva aderiscono i nostri collaboratori che praticano sport di tutti i generi, dallo sci al tennis, dalla bicicletta al nuoto. Si promuove lo sport in modo aggregativo, anche per creare una comunità che spinge al movimento. Come ATM abbiamo aderito a molte iniziative cittadine, come le maratone, ad esempio. Anche io ho partecipato alla Runner Inclusion con i miei colleghi. Abbiamo anche realizzato qualche anno fa uno speciale programma per i funzionari che ha previsto il monitoraggio di alcuni parametri vitali e il sonno. Si trattava di un programma finanziato nell’ambito di un bando del ministero del welfare dove per 3 mesi un gruppo di volontari è stato accompagnato da un trainer alla corsa guidata monitorando nel tempo la variazione dei parametri di stress, sonno e benessere complessivo.
Salute e prevenzione
Emanuela Salati
Abbiamo inserito anche le azioni di supporto ai problemi posturali e trasformato il corso obbligatorio sulla sicurezza previsto dalla Legge 81/2008, in un corso sulla salute. Questo è un suggerimento che mi sento di dare a tutte le imprese, poiché il corso in effetti è dedicato a salute e sicurezza. Come molti sanno, questa formazione va proposta obbligatoriamente ogni 5 anni. Parliamo di un costo importante. In effetti, dopo anni in cui abbiamo ripetuto solo contenuti relativi alla norma, abbiamo deciso, dopo un breve refresh sugli aggiornamenti, di lavorare prioritariamente sulla salute. Grazie a metodologie didattiche attive, abbiamo ingaggiato i nostri dipendenti come attori e realizzato una serie di filmati sul tema posturale. Poiché i protagonisti dei trailer erano i loro colleghi, i nostri collaboratori li hanno guardati più volentieri. Ad esempio, un video può mostrare quale stretching gli autisti o chi lavora in piedi può praticare a beneficio della schiena.
Riuscendo a fare prevenzione su queste pratiche, non solo si ottiene un beneficio grande per i singoli collaboratori, ma è anche un risparmio aziendale in termini di potenziale assenza dei colleghi. Le patologie al rachide, per continuare l’esempio, sono tra le più frequenti, infatti al Poliambulatorio abbiamo, negli anni, costruito un’area di fisiatri e fisioterapisti specializzati con macchinari all’avanguardia nella prevenzione osteoarticolare (ad esempio la Teslacare che abbiamo comprato quest’anno).
I costi del programma
Emanuela Salati
Questi sono tutti programmi a costo contenuto, a parte gli investimenti fatti da Fondazione per il Poliambulatorio che sono stati ingenti. Infatti, le iniziative di formazione sono finanziate con i fondi interprofessionali o altri bandi che di anno in anno vengono proposti dal ministero o dalla Regione. La nostra è una azienda molto sobria nelle spese. Tutto quello che vi sto descrivendo è stato realizzato internamente dall’azienda, anche usufruendo di servizi territoriali, come quelli offerti da Regione Lombardia che sono molto efficaci. Ad esempio, la consulenza nutrizionale è stata svolta gratuitamente nell’ambito del WHP (Work healthplace promotion) del quale siamo parte ormai da anni.
Un welfare che cresce e si diversifica in risposta ai cambiamenti sociali
Emanuela Salati
Abbiamo introdotto anche altre interessanti proposte, perché ci siamo resi conto dei cambiamenti sociali che stavano avvenendo nella nostra popolazione. Oggi in azienda abbiamo tanti nonni. Per questo i nostri tre nidi aziendali sono offerti anche ai nipoti. Le persone che intervistavamo ci dicevano: “Noi rimaniamo volentieri al lavoro, però vorremmo occuparci anche dei nostri nipoti perché c’è bisogno di noi a casa! Noi dobbiamo andare a portarli e a prenderli al nido! Come facciamo?” Ad un certo momento, abbiamo deciso: “Va bene, portateli qui!” Così abbiamo risolto il problema! Oggi abbiamo una ventina di nipoti nei nostri nidi aziendali che i nonni portano felicemente e che riprendono quando hanno finito di lavorare.
Terzo pillar: l’area delle competenze e della motivazione
Emanuela Salati
La questione in gioco la tradurrei così: come facciamo a mantenere le persone competenti – cioè a bloccare l’obsolescenza delle competenze – e ingaggiate per tutta la vita lavorativa? In aziende con 10.000 persone come la nostra, si rischia che le persone lentamente si allontanino demotivandosi negli anni.
Su questo tema ci siamo sbizzarriti con progetti molto belli e dagli impatti importanti che abbiamo ripetuto negli anni, perché serve dare continuità.
Il primo progetto è stato quello dei “Maestri di mestiere”. Abbiamo chiesto ai nostri collaboratori di indicarci i loro “maestri”, coloro dai quali hanno appreso il lavoro. Abbiamo avuto centinaia di candidature, tutte persone over 55. Ne li abbiamo selezionati una ventina e formati per inserirli nel progetto. A questo punto, i “maestri di mestiere” hanno incominciato a fare un lavoro un po’ diverso da quello che facevano prima, aiutando a trasferire il know-how. Loro venivano nelle nostre aule a fare i docenti; andavano nelle scuole a fare employer branding e raccontare il loro lavoro; ci aiutavano nelle selezioni del nuovo personale. Insomma, facevano “i maestri” oltre alla loro normale mansione.
Parallelamente, abbiamo raccolto le loro storie e le loro fotografie e realizzato un libro. Sono diventate esempi in cui tutti si rispecchiavano. Voglio sottolineare che non abbiamo dato loro alcun aumento di stipendio, né di livello. Semplicemente sono diventati “i migliori di noi”, e quindi potevano essere modello per altri. Questo progetto di comunicazione interna ha generato tanta energia e ha rivitalizzato gli over55: l’azienda ti vede e ti riconosce come il migliore. Non è cosa da poco. È una filosofia che noi per tradizione non abbiamo, e che invece è già presente in altre culture. Mentre noi pensiamo che con il progredire degli anni le persone siano da mettere da parte, in Giappone prevale l’idea che i senior abbiamo più esperienza da condividere.
È quello che abbiamo cercato di fare anche noi. Abbiamo anche fatto qualche esperimento di reverse mentoring: giovani neoassunti hanno accompagnato nel processo di digitalizzazione questi maestri di mestiere che non erano nativi digitali.
Dopo tanti anni, oggi il progetto “maestri di mestiere” non è più attivo ma è stato un grande programma. Ha avuto un’efficacia incredibile, è divenuto virale e molte aziende lo hanno adottato.
La centralità della formazione e dei servizi di welfare
Emanuela Salati
La formazione è parte della vita della nostra azienda. In ATM vengono realizzate circa 300.000 ore di formazione l’anno. In questo ambito vi porto l’esempio, relativamente al tema dell’Age management, del corso di Cittadino digitale. È un corso di digitalizzazione di base che è stato proposto a catalogo per anni, eppure abbiamo continuato ad avere annualmente decine di persone che si iscrivevano. Il bisogno è ancora vivo. La nostra popolazione è particolare. Molti collaboratori non hanno il computer nel loro lavoro e quindi non lo sanno utilizzare. Questo corso offre loro informazioni di base che riguardano l’intera sfera della vita, non solo quella professionale, ad esempio, come pagare le bollette online o gestire la banca online. È un servizio più ampio, dagli impatti sociali che è molto caro anche alla Fondazione a cui sono iscritti anche i pensionati. Per loro, oltre che per i dipendenti, ogni anno la Fondazione promuove un catalogo di occasioni di aggregazione, viaggi e vacanze oltre alla possibilità di soggiornare nei nostri due hotel a Bordighera e a Fondo Val di Non dove tutti (anche i cittadini non solo i dipendenti) possono andare a fare le vacanze a prezzi accessibili. Ormai sappiamo che parte dell’invecchiamento attivo è dato anche dalla dimensione delle relazioni sociali e cerchiamo quindi di offrire occasioni per poterle mantenere anche a partire dall’ambito lavorativo.
Il tema del trasferimento del know-how
Emanuela Salati
Con l’uscita in massa e in contemporanea dei baby boomer il tema del trasferimento del know-how è diventato per noi cruciale. Rischiavamo di avere una perdita improvvisa di conoscenza se non ci fossimo preparati a questo cambiamento. Così abbiamo incominciato ad organizzare il passaggio anche sul lato formativo. Era già accaduto, in verità, che fossero uscite delle competenze che poi non eravamo più riusciti a sostituire.
Abbiamo investito in due altre azioni tra loro molto simili: il Middle-Check Assesment – dedicata alla popolazione dei funzionari in staff – e il Bilancio di Competenze – disegnata per i capi tecnici e gli operativi over 50.
In realtà si tratta di un lavoro di profondità, svolto con l’aiuto di un counselor, nel quale si ricostruisce un bilancio di vita, non solo di lavoro, in cui il collaboratore fa emergere le competenze, abilità ed esperienze che ha costruito complessivamente nella sua vita. Non è però solo una ricostruzione rivolta al passato; è rivolta al futuro perché ha l’obiettivo di rifar nascere la progettualità verso il domani.
Stante quello che sei stato capace di costruire, quali sono i tuoi progetti futuri? Su cosa vuoi investire? Parliamo di progetti non solo di natura lavorativa, ma anche di salute, di relazioni… Questo assesment è molto efficace per ritrovare energia vitale da spendere al lavoro e nella vita privata consentendo di mettere a terra tutto il potenziale di know-how e talenti costruito nel corso di una vita.
Il monitoraggio e il ritorno per l’azienda
Emanuela Salati
Il tema è complesso: il monitoraggio dei risultati resta un tema delicato. Non sono item così facilmente misurabili. L’adesione a questi progetti è sicuramente stata alta. Inoltre, lavorare per anni su questi temi ha certamente sviluppato una cultura su questo tema che prima non c’era.
Anche sul tema della salute abbiamo visto dei KPI crescere: nell’adesione agli screening, ai nostri check-up, ai nostri eventi sulla salute. Però affermare che sia migliorato il nostro tasso di assenteismo e di inabilità, non è possibile. I numeri sono troppi alti perché si riesca effettivamente ad incidere su assenteismo e inabilità in una popolazione così ampia e con un’età media elevata!
Potremmo affermare che la nostra azione potrebbe aver arrestato il dilagare del problema? Secondo me sì, perché oggi la nostra popolazione si cura di più. È più sensibile. È risaputo che esiste un collegamento diretto tra salute e gradiente culturale e informazione.
Sicuramente è molto importante continuare a monitorare i bisogni e i feedback delle nostre persone sui servizi per continuare a migliorare. Recentemente come Fondazione abbiamo realizzato una Survey presso i nostri beneficiari che ci ha aiutato a capire quali servizi erano più apprezzati e conosciuti e quali ambiti potevano essere sviluppati. I servizi dei rimborsi sanitari e del Poliambulatorio sono risultati i più graditi mentre il tema dei viaggi, delle convenzioni commerciali e della previdenza integrativa sono i temi emergenti insieme all’housing sociale.
Un’ azienda può fare da catalizzatore per la nascita di più ampi ecosistemi di welfare
Emanuela Salati
Credo che la cosa più efficace che abbiamo fatto è la costruzione di reti di sistema. Perché dove si creano delle sinergie in termini di servizi c’è la chiave di volta che crea un ecosistema: il mettere in comune delle risorse sinergiche che aiutino anche le altre aziende.
Da alcuni anni grazie anche a una collega responsabile del Welfare del Comune di Milano, abbiamo un tavolo di lavoro al quale siedono tutte le sue aziende partecipate. A questo gruppo abbiamo aggiunto altre aziende nostre vicine. Il tavolo si riunisce tre, quattro volte l’anno. Solitamente ospitiamo noi questi incontri: vengono qua in Fondazione, organizziamo una colazione, si fa benchmark su quali servizi si possono mettere in comune, sui bisogni nuovi e proviamo a rispondere a questa domanda: “Cosa abbiamo noi che potrebbe essere messa in comune con altri?”
È nata a questo tavolo l’idea di aprire ad altri il nostro Poliambulatorio in via Farini, oggi accessibile a tutta la cittadinanza di Milano a prezzi calmierati. È possibile prenotare visite mediche specialistiche a prezzi decisamente inferiori rispetto ad altre realtà, senza contare che vengono lanciate anche campagne di prevenzione, accessibili in convenzione gratuita, alle aziende che non hanno welfare o che vogliono offrire dei servizi aggiuntivi alle loro persone. E lo stesso è stato fatto per le nostre strutture alberghiere a Bordighera e a Fondo che ora sono aperte al pubblico.
Questo tavolo di lavoro è particolarmente utile non solo nello scambio di servizi, ma anche per intercettare e analizzare bisogni nascenti. Le informazioni raccolte nelle nostre survey non le teniamo solo per noi, ma le comunichiamo agli altri in modo che tutti possano preparare nuovi servizi a fronte di nuovi fenomeni sociali.
Anche a livello di AIDP (Associazione Italiana Direzione del Personale), di cui sono socia attiva da decenni, abbiamo creato un gruppo sull’Age Management e tutte le aziende che hanno aderito sono invitate a fare sharing di prassi su questo tema. Questo per dire cosa? Che ha molto senso mettere a terra delle isole di lavoro che fanno da traino di tematiche cruciali per le aziende e l’intera società.
Bisogna partire per tempo
Emanuela Salati
L’approccio sistemico è l’unico che può funzionare di fronte a fenomeni di questa portata. Certo, non è così semplice. C’è ancora tanto da fare. Io ricordo ancora quello che un esperto di active ageing mi disse anni fa: “Noi stiamo in un cambiamento rapido, difficoltoso, di cui non conosciamo lo sviluppo, però abbiamo un’unica certezza: che tutti quanti invecchieremo. Questi sono i numeri, questa è la popolazione che avrai tra 5 e 10 anni e che presenterà caratteristiche completamente diverse da quelle che ti aspetti. Se non vuoi schiantarti contro il muro, bisogna fare qualcosa. È a quarant’anni che bisogna occuparsi di invecchiare bene”.
Aveva ragione. La raccolta di dati numerici e l’elaborazione di un cruscotto di controllo sono stati fondamentali. Anche la difficile situazione di skill shortages nella quale ci troviamo oggi rispetto alle nuove assunzioni era in parte prevedibile attraverso la lettura dei dati demografici combinata con quella dei dati aziendali. In questo senso, l’AI e la data analysis ci daranno una grande mano.
Ma non è sufficiente: per affrontare il fenomeno dell’invecchiamento della popolazione lavorativa è necessario comprendere i nessi tra azienda, dipendente e territorio e che l’interdipendenza tra il successo dell’impresa e la realizzazione delle persone è una sinergia virtuosa che può rappresentare una delle chiavi di lettura di successo in prospettiva futura per fronteggiare questa tematica.
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Dal 1932. Parliamo dell’ospedale Resnati, dove adesso c’è il liceo scientifico Donatelli.